Marina
Gatto, istantanee di purezza formale
di Ugo Mancini
Guardando le opere di Marina Gatto, artista originaria di
Avellino, quello che istintivamente, al primo sguardo, ci comunicano è una
forte volontà di ricerca di purezza formale da parte dell'autrice. Nella sua
copiosa produzione di ritratti femminili riesce a fermare l'espressione di un
volto, l'istantanea di un'emozione racchiudendola nella perfezione
naturalistica di un effigie riprodotta con una notevole abilità tecnica.
Infatti Marina Gatto si sofferma proprio sui visi, che occupano quasi tutto lo
spazio delle tele in primissimi piani dal taglio fotografico, e di cui
l'artista riesce a restituire ogni minimo dettaglio fisionomico.
Particolarmente rilevante è la consistenza volumetrica di queste donne,
tangibile e solida, la cui concretezza si conquista con scioltezza il proprio
spazio tridimensionale all'interno del dipinto. Un plasticismo ostentato sì, ma
perfettamente naturale nel gioco dei chiaroscuri e delle ombreggiature morbide
che si posano sulle epidermidi in sfumature dai graduali passaggi tonali.
Nonostante questa scioltezza, tuttavia, Marina Gatto predilige una certa
lucidità della materia ad un pittoricismo troppo esasperato e le fattezze di
questi volti femminili rifulgono nella loro purezza formale senza essere
scalfite da un troppo accentuato atmosferismo. È in questo modo che la pittrice
riesce a bloccare in un istante eterno quelle espressioni, quelle emozioni che
vuole catturare in quei visi. Quello di immortalare la realtà, e le emozioni ad
essa collegata, in un istante senza tempo è un esercizio che Marina Gatto
riserva anche ai paesaggi. Ciò è evidente in opere come "Faro" o "Quiete" in
cui già i soggetti di per sé comunicano un senso di solitudine che ci rimanda
ad una dimensione senza principio e senza fine. Ma Marina Gatto sa accentuare
questo aspetto trascendentale tramite il suo modo di dipingere. La pittrice è
capace di distillare una realtà talmente pura, in cui gli oggetti appaiono
nitidi illuminati da una luce oggettiva, da arrivare a delineare una sorta di
realismo magico in cui tutto appare eternamente bloccato nell'emozione
istantanea trasferita sulla tela.